martedì 24 gennaio 2017

Con il maqui difendi anche gli occhi

L’Aristotelia chilensis – questo il nome scientifico del vegetale – è una pianta della famiglia delle Elaeocarpaceae diffusa nelle foreste temperate del Cile e dell’Argentina. L’arbusto, pur mantenendo un fusto mediamente sottile, può raggiungere i 5 metri d’altezza e produce delle particolari bacche violacee, dal sapore lontanamente simile al sambuco. Pur essendo una pianta sempreverde, la produzione del frutto – quello che si utilizza agli scopi di cura – è molto lenta: ci vogliono più di 5 anni per raggiungere un raccolto di circa 10 chili. Di seguito, le proprietà e gli usi più comuni.
Le peculiarità curative delle bacche di Maqui sono definite dai loro principi attivi e nutritivi. In particolare, già ben noto è l’effetto della vitamina E per contenere tutti quei problemi dovuti all’invecchiamento e ai radicali liberi, dalla cura della pelle alla caduta dei capelli. Le applicazioni di questa pianta, tuttavia, non si limitano a questi unici campi. Le dosi per l’assunzione variano da persona a persona, a seconda del disturbo che si intende trattare, e non possono prescindere dal consiglio di uno specialista. Di seguito gli usi più famosi, solitamente in infuso, in succo o tramite integratori alimentari:

Effetti collaterali e controindicazioni

A oggi non esistono sufficienti studi sui possibili effetti collaterali, così come anche sulle precise controindicazioni, derivanti dall’assunzione delle bacche di Maqui. Per questo motivo la somministrazione deve essere effettuata con estrema cautela e sempre dopo aver vagliato il parere del medico curante. Inoltre, non essendone ancora note le interazioni, sarebbe meglio evitare il ricorso in concomitanza con altre cure farmacologiche, in particolare medicinali per la riduzione dei livelli di colesterolo, poiché il rimedio ne potrebbe aumentare gli effetti. Sebbene manchi una precisa rappresentatività statistica, diversi consumatori hanno lamentato stipsi introducendo le bacche di Maqui nella loro dieta: si tratta di un effetto collaterale probabilmente compatibile con le caratteristiche astringenti del ritrovato.

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